L’uomo perfetto #14 Maia

Una volta l’uomo perfetto partecipò ad un workshop sull’emergenza migranti organizzato dal Partito Socialista Europeo in Grecia. Penso fosse il 2016, l’uomo perfetto viveva a Bruxelles da solo un paio d’anni, ma ormai conosceva l’aeroporto come un fratello.

Era arrivato in aeroporto con discreto anticipo, quindi decise di sedersi al bar prima di presentarsi ai controlli di sicurezza. Mentre sorseggiava il caffè americano senza zucchero, vedeva l’attentato dell’anno precedente svolgersi sotto i suoi occhi. Per lui era un immagine ricorrente in quel luogo. Solo pochi giorni dopo Mohamed Lahouaiej-Bouhlel avrebbe lanciato un tir rubato sulla pedonale di Nizza uccidendo ottantasette persone. Il Natale successivo una scena simile si sarebbe ripetuta a Berlino. Charlie Hebdo, il Bataclan, la guerra a pezzi di cui parlava papa Francesco.

L’uomo perfetto sperimentò per l’ennesima volta il fastidio di sentirsi impotenti mentre la Storia ci scorre addosso. Nel suo ruolo di parlamentare cercava di dare un contributo concreto, ma concordare azioni concrete in tempi estenuanti scatenava pensieri frustrati. Era stato indeciso fino all’ultimo se partecipare a questo workshop. Il tema era quello a cui stava dedicando la maggior parte del suo tempo, sarebbe stata un’occasione per raccogliere commenti alla proposta che la task force da lui presieduta stava portando avanti. Ma il rapporto risultati su tempo impiegato era ancora un’incognita.

Il caffè americano era quasi finito. Come in un’apparizione, due splendide gambe lanciate sui tacchi passarono davanti ai suoi occhi assorti. Una magnifica chioma scura accarezzava un volto olivastro dove splendevano due occhi gialli abbaglianti come fanali.

Sapeva di sentirsi osservata un po’ da tutti. Anche l’uomo perfetti faceva capolino fra il pubblico. Con un po’ di imbarazzo, si sedette ad un tavolino e scomparve dalla traiettoria dietro una pianta.

L’uomo perfetto la rivide in coda al gate: avrebbe preso il suo stesso aereo. Proprio in quel momento arrivò la telefonata del Cavaliere, che si protrasse anche in cabina mentre si concludeva l’imbarco. Seduto al suo posto lato corridoi, con auricolari alle orecchie, proseguiva una conversazione abbastanza impegnativa.

Lei si presentò al suo fianco, sistemò il bagaglio a mano in cappelliera e gli fece cenno che doveva sedersi al suo fianco. L’uomo perfetto si alzò e la fece accomodare. La telefonata finì pochi minuti dopo. Non sfruttare un’occasione così sarebbe stato un insulto al Karma, alla Provvidenza e al destino, tutti e tre messi insieme. “Spero di non aver tenuto un tono della voce troppo alto”. Lei si risvegliò dallo schermo del telefono. “Quando uso gli auricolari non mi rendo conto del volume”. Lei sorrise. “Figurati”, rispose in un perfetto inglese.

Era appena stata a Bruxelles a trovare il suo ragazzo. Si era trasferito a Bruxelles tre anni prima per lavoro. La relazione a distanza doveva funzionare per non buttare al vento tutti gli anni insieme. Solo che iniziava davvero a pesare. Anche in questa occasione avevano litigato. Lei voleva costruire una famiglia e più volte si era offerta di trasferirsi a Bruxelles, ma lui non voleva. “Bruxelles è solo un periodo” diceva. Però intanto gli anni passavano e non si intravedevano molte possibilità di ritorno.

L’uomo perfetto rimase un po’ esterrefatto da tutta questa confidenza riservata ad uno sconosciuto. Il suo aspetto non passava sicuramente inosservato, ma i suoi gesti e il tono della sua voce tradivano un’antica timidezza. Ma c’era un punto del suo sorriso, proprio l’attacco destro delle labbra, che contraendosi creava una fossetta maliziosa.

La sintonia fu interrotta dall’atterraggio. All’uscita dall’aeroporto si salutarono con due baci sulle guance. “Per quei posti che mi hai consigliato, – fece lui – se mi lasci il tuo numero ti faccio sapere come è andata”.

Lei sorrise. “Cercami su Facebook” – e digitò il suo nome sul telefono dell’uomo perfetto. Maia.

Durante il suo soggiorno greco si scambiarono qualche messaggio con la scusa di qualche consiglio. Maia viveva vicino al luogo dove si teneva la conferenza. L’uomo perfetto avrebbe avuto una sera libera, lei disse che probabilmente sarebbe stata in giro. Si fece consigliare un locale in riva la mare. Lei fece la preziosa. “Se usciamo, andiamo lì.” Il locale era davvero carino e la brezza di fine giugno rendeva tutto elettrizzante. L’uomo perfetto le scrisse qualche messaggino, ma lei non visualizzava più. Dopo un’interminabile mezzora – o forse più – mandò andò una foto del panorama. “Grazie per il consiglio.” Il messaggio rimase consegnato ma non visualizzato.

“E io che mi illudo che cose simili possano succedere” scrive l’uomo perfetto sul suo diario.

Il pomeriggio successivo Maia scrisse: “Scusami, ho visto solo ora il messaggio.”

L’uomo perfetto stava tornando in aeroporto. E non rispose mai a quel messaggio.

Autore: Paul Khan

Paul, paulus, piccolo. Inglese, francese o tedesco non importa, sono le lingue con le quali l’Occidente ha conquistato e cerca di comunicare in tutto il mondo. Khan, leader, grande. Turco, mongolo, in Oriente è il titolo nobiliare di chi è chiamato a condurre la propria tribù in battaglia. Siamo piccoli e grandi allo stesso tempo. Siamo capaci di essere meschini, ma poi avere la forza di rialzarci e ricostruire. Desideriamo l’immensità e imporci sul prossimo, ma sappiamo godere delle piccole cose e finiamo per legarci a poche persone. Siamo l’Oriente e l’Occidente insieme. Siamo la parola e la forza. L’alba e il tramonto. Siamo tutte le contraddizioni degli esseri umani. Faccio altro per vivere, ma scrivo per piacere e necessità. Puoi scrivermi a pk@paulkhan.com

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