L’uomo perfetto #9 Il diario Parte II

Scendemmo dalla metro a Shuman. I negozi stavano chiudendo, ma riuscimmo ad acquistare della verdura fresca, del pane e del formaggio. Salimmo le scale fino al quarto piano di un palazzo di fine Ottocento ristrutturato di recente ma al quale era stato impossibile prevedere un ascensore.

Il bilocale dell’uomo perfetto non era molto grande, ma il soggiorno era essenziale ma accogliente. C’erano tre chitarre appese alla parete, fra televisore e libreria, e amplificatore e pedaliera sotto di esse. La loro vista mi spinsero a notare alcuni dettagli. “Hai insonorizzato la stanza?” – chiesi. “Sono solo alcuni accorgimenti fono assorbenti. Da quando mi sono trasferito qui nessuno dei vicini si è mai lamentato.”

Mentre pronunciava queste parole, l’uomo perfetto aprì le porte finestre sopra una meravigliosa terrazza esposta a sud. I rampicanti alla ringhiera di ferro battuto avevano generato dei simpatici palloncini arancioni. Uscimmo tutti e quattro a goderci la vista. Cristina si chinò ad annusare il profumo di alcuni fiori.

L’uomo perfetto si mise ai fornelli, mentre Simona e Cristina apparecchiavano in terrazza e accendevano le candele. Il padrone di casa stappò una birra artigianale a bassa fermentazione per accompagnare un tagliere di formaggi fiamminghi. Mi facevo raccontare come era vivere a Bruxelles e se riusciva ancora a ritagliarsi i suoi preziosi momenti di solitudine.

L’uomo perfetto preparò un’insalata di indivia, cetrioli, feta e cuore di bue e del cous cous con ceci e verdure. A tavola l’uomo perfetto chiese a Cristina cosa volesse fare da grande.

Nel momento in cui quella domanda vibrò nell’aria, ebbi la sensazione che quella domanda fosse stata posta da mio padre. Aveva avuto un ictus due anni prima e se n’era andato tre mesi dopo. Fui sorpreso da quella sensazione. Non avrei saputo dire perché. Era una domanda da vecchi. Mi sembrava la classica banalità che solo un noioso come mio padre avrebbe potuto domandare ad una bambina. Poi pensai che la sorpresa era data anche dal fatto che era molto tempo che non sentivo questo interrogativo. È una domanda che non si fa più ai bambini. Penso di non averlo mai chiesto a Cristina.

“Voglio fare la maestra dell’asilo”. Gli adulti al tavolo si scambiammo un sorriso.

Forse per la stanchezza, Cristina fu molto composta e tranquilla a tavola. Ma dopo quattro forchettate del suo cous cous, si alzò da tavola iniziò a passare in rassegna le foto appese ai muri, l’impianto audio e i libri. Ricomparve poco dopo con una fotografia in mano. Corse ad appoggiarla sulle ginocchia dell’uomo perfetto. “È la tua fidanzata questa?”. Simona la fulminò con lo sguardo e si alzò di scatto. “Cristina, il tuo comportamento è davvero maleducato.” Corse a mettersi dietro di lei e a indicare la parete da cui era stata sottratta la foto, ma l’uomo perfetto lasciò correre.

L’uomo perfetto raccolse la foto dalle ginocchia e l’appoggiò sul tavolo. Sedevo accanto a lui, vidi un paesaggio roccioso e desertico. L’uomo perfetto aveva lo zaino sulle spalle e le scarpe da trekking, un turbante in testa e dei grandi occhiali da sole. Il suo abbraccio cingeva alla vita una ragazza meravigliosa. Occhi grandi e scuri si spalancavano su un grazioso volto a cuore. Un sorriso che avrebbe fatto invidia a qualunque testimonial di dentifrici. Da sopra la fronte si intravedevano lunghi e ricci capelli corvini, ma un velo li nascondeva alla vista.

“È una mia amica.”- disse.

La sua bocca si allargava nel suo consueto sorriso, ma i suoi occhi gridavano tutta la tristezza di questo mondo.